Lo psichiatra Dr. Lawrence è scomparso: un’infermiera ha accompagnato nel suo studio un paziente e quando è tornata dopo un’ora a riprenderlo la stanza era vuota e il malato se n’era tornato in camera sua. Da allora non si è trovata traccia né del medico né della sua auto. La polizia ha incaricato il direttore dell’ospedale psichiatrico di condurre l’interrogatorio del paziente, un 23enne dal comportamento instabile ricoverato nella struttura da 5 anni, unico possibile testimone.
La caposala Miss Peterson conosce meglio di chiunque altro i lati deboli del carattere del direttore, suo ex marito, e sa quanto una passata tragedia pesi su entrambi. Perciò lo mette in guardia: Michael è molto intelligente e razionale, ma è anche un bugiardo e un manipolatore.
Il Dr. Green, incuriosito, fa l’errore di ignorare l’avvertimento. Come previsto Michael si balocca con le domande e anziché rispondere si mette, come sua abitudine, a parlare di elefanti. Poi comincia ad instillare il dubbio che il Dr. Lawrence sia morto e si mette a giocare a fuoco-fuochino per cercarne l’ipotetico cadavere – perché no? in fondo lui è ricoverato perché ha ucciso sua madre. Suggerisce ricerche per armadi e cassetti, che danno risultati che fanno sorgere altri dubbi. Arriva a congetturare misteriosi complotti e comportamenti scandalosi fra il personale ospedaliero.
Insomma è lui ad avere il controllo della situazione, non il medico. E sfruttando le proprie capacità affabulatorie conduce l’incontro con il Dr. Green fino al tragico epilogo che aveva meticolosamente progettato.
La sceneggiatura è un adattamento di Nicolas Billon del suo omonimo dramma del 2005, e ne conserva l’impostazione teatrale, girato com’è prevalentemente in una sola stanza. E’ articolato su più piani temporali: il presente in cui un poliziotto interroga separatamente il medico e l’infermiera, che ricostruiscono da differenti punti di vista la vicenda di alcuni giorni prima. E un passato ancora precedente, due flashback sulla vita di Michael da bambino, che offrono un’ipotesi di spiegazione dell’accaduto. Purtroppo questo spezzettato accavallarsi di scene è alquanto fastidioso, fiaccando la tensione nei momenti meno opportuni, un po’ come le seccanti telefonate che interrompono la seduta del Dr. Green col suo paziente. Quanto al regista Charles Binamé, di esperienza prevalentemente televisiva, non sembra all’altezza di maneggiare un’opera per il grande schermo, visto che riesce ad appiattire anche un thriller psicologico stratificato e pieno di colpi di scena come questo.
Di solito le trasposizioni di opere teatrali si reggono prevalentemente sulla bravura degli attori, e anche questo film non fa eccezione. Nel piccolo ruolo della seconda moglie del dottore c’è Carrie Ann Moss, la parte casalinga e un po’ molesta della sua esistenza, mentre Catherine Keener è la capace e risoluta Miss Peterson, protettiva e materna con i pazienti come con l’ex marito. Bruce Greenwood dà al suo Dr. Green la giusta dose di (seppur velata) arroganza medica davanti ad un paziente diverso dagli altri che riesce a farlo cadere nella sua rete.
Protagonista assoluto è Xavier Dolan (brusio in sala alla battuta “Ho ucciso mia madre”, titolo nel 2009 del suo primo successo da regista). L’oggi 26enne enfant prodige del cinema canadese recita per una volta in un film non suo e si dimostra ancora una volta ottimo attore. Il personaggio di Michael è febbrile e perversamente attraente, mitomane e accattivante, e lui lo rende al massimo in tutte le sue sfaccettature. E’ in gran parte merito suo se l’attenzione del pubblico resta viva per le quasi 2 ore di proiezione di un film da 6+ che avrebbe potuto essere un 8.
M.P.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.